GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
Per Aspera Ad Veritatem n.6
Comitato Parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato

Relazione sull'acquisizione illegittima di informazioni riservate e controllo parlamentare







Questa relazione affronta fatti e problemi tra loro diversi, ma che possono in gran parte ricondursi allo stesso tema generale: la definizione dei limiti entro i quali i Servizi di informazione e sicurezza hanno diritto di acquisire informazioni riservate che riguardano attività istituzionali o la sfera privata di singoli cittadini.
Questi limiti sono fissati in rapporto alle finalità stesse dei Servizi, così come la legge le determina, oltre che in rapporto al fondamentale dovere di fedeltà alla Costituzione. Dunque, se vi sono informazioni riservate che affluiscono agli apparati di intelligence e che non concernono la integrità dello Stato, la difesa della sua indipendenza e la sicurezza dell'ordinamento democratico contro ogni forma di eversione, la loro acquisizione è in contrasto con i compiti istituzionali ed è perciò illegittima.
La relazione esamina alcuni casi nei quali è risultata evidente questa illegittimità, collegata a manovre politiche e ad una illecita strumentalizzazione delle informazioni riservate.


1. Il Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza presentò, il 26 ottobre 1995, una Relazione al Parlamento, contenente rilievi e valutazioni su un'ampia raccolta di documenti, trasmessi dall'Autorità giudiziaria di Milano, che erano stati sequestrati presso l'ufficio romano dell'ex presidente del Consiglio Bettino Craxi. Il Comitato individuò, tra questi, una serie di appunti per lo più anonimi, con notizie riservate su indagini giudiziarie e su magistrati, tra le quali numerose informazioni o pseudoinformazioni relative al dottor Antonio Di Pietro e fabbricate contro di lui.
Furono posti allora alcuni problemi: quanto di questi materiali proviene dall'interno degli apparati di sicurezza? Vi è stato ed in quale misura un contributo da parte di uomini dei Servizi o da parte di altri pubblici ufficiali all'attività di controllo illegittimo e di intimidazione sviluppatasi contro i magistrati che hanno indagato ed indagano sulla corruzione politica? E di chi sono le responsabilità?
Alcuni indizi erano già chiari; ma la Relazione si concluse con un impegno del Comitato a verificare ulteriormente se sul dottor Di Pietro, come su altri magistrati occupati nello stesso genere di processi ed inoltre sullo svolgimento del lavoro giudiziario, fossero state raccolte, nell'ambito dei Servizi o di altre strutture pubbliche, informazioni riservate di qualsiasi genere. Veniva infine sollecitato al governo una rigorosa vigilanza sugli archivi dei Servizi, per accertare se vi fossero tracce di una simile deviazione dai compiti istituzionali.
Oggi il Comitato intende rendere conto al Parlamento dei risultati delle proprie attività istruttorie, sollevando ulteriori interrogativi ed offrendo alcune risposte.

2. Gli ulteriori interrogativi che il Comitato sottopone all'attenzione del Parlamento riguardano anzitutto la illegittima acquisizione di informazioni concernenti magistrati, ad opera di pubblici ufficiali appartenenti alla Guardia di Finanza.
Il 7 dicembre 1995, il Comitato domandò al Comandante generale della Guardia di finanza (riproponendo un quesito già indirizzato al responsabile del II Reparto, colonnello Mariella) se risultavano attività informative da parte della Guardia di finanza sul conto del dottor Di Pietro o di altri magistrati. La risposta (come già quella del colonnello Mariella) fu nettamente negativa. Il Comandante generale escluse, "con riferimento all'attività istituzionale svolta dal Comando generale", che vi fossero state tali attività.
Ma il Comitato ha acquisito documenti, provenienti dall'Autorità giudiziaria di Milano e da quella di Brescia, i quali dimostrano che singoli appartenenti alla Guardia di finanza hanno invece raccolto informazioni su magistrati. Si è trattato evidentemente di un'attività extraistituzionale, che non risulta delegata dai superiori, di cui occorre tuttavia accertare puntualmente l'ampiezza e le motivazioni, anche al di là dei profili penali.
La Procura della Repubblica di Brescia ha segnalato, il 25 gennaio 1996, l'esistenza di indagini preliminari nei confronti di Paolo Simonetti, brigadiere della Guardia di finanza già in servizio presso il Nucleo regionale di polizia tributaria di Milano, per il reato di abuso continuato in atti d'ufficio, anche in danno di magistrati. E' emerso infatti che egli raccoglieva informazioni di varia natura, aventi ad oggetto vicende private o di ufficio di alcuni magistrati della Procura di Milano, tra l'altro costruendo contro di essi accuse di parzialità nelle indagini. Il contenuto di tali attività risulta essere stato a conoscenza del capitano Giancostabile Salato (poi trasferito al pari di Simonetti, presso il II Reparto della Guardia di finanza).
A proposito di questa vicenda, tre sono le domande alle quali occorre rispondere (e questo compito spetta ora anzitutto all'Autorità giudiziaria). Vi è stato un coinvolgimento di altri sottufficiali ed ufficiali in queste attività informative? Quali ragioni hanno determinato il trasferimento del Simonetti e del Salato ad una delicata ed importante struttura come il II Reparto della Guardia di finanza? E nell'attività di intelligence che spetta a questo Reparto è possibile che siano state assunte, da loro o da altri, analoghe iniziative extraistituzionali? Il Comitato potrebbe chiarire più a fondo tali questioni se disponesse di un potere specifico di accertamento dei fatti e delle responsabilità, pari a quello delle Commissioni parlamentari d'inchiesta. Allo stato attuale, le iniziative di questi pubblici ufficiali appaiono come una componente di un'azione informativa e di controllo più vasta che si è mossa attorno al pool di Milano.
Il 20 febbraio 1996, la Procura della Repubblica di Milano ha fatto pervenire al Comitato alcuni documenti sequestrati nel procedimento penale n. 9260/95 R.G.N.R., a carico di Francesco Nanocchio più altri ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza, per il reato di associazione per delinquere. Essi rivelano un complesso ed intenso lavoro volto a raccogliere note informative sui magistrati (tra i quali il dottor Di Pietro, il dottor Colombo ed altri), sulla loro vita, sulle indagini, sui rapporti dell'uno o dell'altro con i colleghi e con individuati elementi della polizia giudiziaria. Si riferiscono presunte scorrettezze, che poi verranno contestate nelle ispezioni, dall'autunno del 1994 in avanti. E' insomma un'attività che può denominarsi di "dossieraggio", nella quale rientrano fra l'altro le stesse insinuazioni contro il dottor Di Pietro utilizzate a più riprese dall'on. Bettino Craxi e da altre fonti (su cui si veda la precedente Relazione del Comitato, in data 26 ottobre 1995). C'è una
sinergia informativa tra le carte in possesso dell'ex Presidente del Consiglio e questi documenti. Su alcune situazioni (ad esempio le indagini relative ad attività economiche riconducibili al PCI) egli ha utilizzato, per le proprie schede, materiali provenienti da quei dossiers.
L'attività illegittima era iniziata anche prima che vi fossero procedimenti penali contro appartenenti alla Guardia di finanza. Ma era soltanto un'attività casuale ed isolata? Quali colleghi ne erano al corrente? Vi sono ufficiali superiori che ne hanno avuto notizia, che l'hanno tollerata o incoraggiata? Il Comitato auspica che vi sia da parte di tutta la Guardia di finanza il massimo impegno per consentire risposte esaurienti, a tutela dell'onore di tutti coloro che prestano servizio con lealtà e correttezza in questa istituzione.

3. Dai documenti acquisiti e da alcune audizioni svolte (tra le quali quella del dottor Antonio Di Pietro) risulta che negli ultimi anni si sono concretizzate varie attività e strategie volte ad interferire nei procedimenti penali in corso a Milano, che avevano ed hanno ad oggetto gravissimi fatti di corruzione politica e che hanno portato, tra il 1992 e il 1994, ad una vera e propria decapitazione del sistema di governo. Vi sono state da più parti manovre per intromettersi nelle indagini, per conoscere il loro svolgimento, per acquisire in tempo reale informazioni riservate su atti giudiziari che dovevano essere ancora compiuti, per esercitare un controllo illegittimo su singoli magistrati e sulla loro vita, per costruire dossiers che servivano a delegittimarli.
Il Comitato intende ricostruire le linee essenziali di questo scenario e delle interferenze che si sono susseguite, mettendo in particolare a fuoco alcune attività non legittime svolte nell'ambito del SISDe.

4. La prima manovra di interferenza e di delegittimazione del dottor Di Pietro e dei magistrati di Milano è quella che fa capo all'on. Bettino Craxi e al gruppo di potere a lui strettamente legato. L'ex Presidente del Consiglio ha accumulato sul dottor Di Pietro una serie cospicua di note informative, idonee a gettare sospetti infamanti e a demolire l'immagine del magistrato. Esse riguardano l'intera carriera del dottor Di Pietro da quando era in polizia, le sue amicizie, una serie di vicende private in base alle quali vengono costruite accuse contro di lui, ed infine la conduzione delle indagini, nell'ambito del pool milanese. La raccolta di materiale informativo comincia tra la primavera e l'estate del 1992, quando appare chiaro che le inchieste non si fermano dopo i primi arresti.
Una novità interviene all'inizio del 1994, come il Comitato ha messo in luce nella sua precedente Relazione. Andando al di là delle accuse già note, che da tempo circolavano, su anomali collegamenti di Di Pietro con professionisti ed imprenditori, le informazioni riguardano ora un fatto, presentato come oggettivo. Tra il febbraio e il maggio 1992, nella fase cruciale delle indagini che hanno fatto esplodere il sistema di Tangentopoli, Di Pietro avrebbe effettuato una serie di telefonate, in particolare con gli avvocati Lucibello e D'Adamo, legati a lui da rapporti di amicizia. Questi a loro volta e negli stessi giorni avrebbero avuto frequenti contatti telefonici con persone coinvolte nei reati su cui vertevano le indagini; il tutto attraverso apparecchi cellulari.
Il riferimento alle telefonate è contenuto, per la prima volta, in una lettera dal tono intimidatorio, indirizzata dall'on. Craxi al dottor Di Pietro, il 25 febbraio 1994. Il dottor Di Pietro, nella sua audizione davanti al Comitato, ha confermato di averla ricevuta. La lettera contesta il trattamento di favore accordato ad alcuni indagati, ed in particolare a Sergio Radaelli, mentre una particolare durezza sarebbe stata usata nei confronti di Mauro Gianlombardo, collaboratore diretto di Craxi, arrestato poco tempo prima.
Quando scrive questa lettera, Craxi è già in possesso di conoscenze precise circa le conversazioni telefoniche. Allude, con parole minacciose, ad "un frenetico scambio di consultazioni preventive tra il procuratore che doveva procedere all'arresto e cioè Lei, avvocati ed imprenditori amici tanto suoi che del Radaelli e tra questi il Radaelli stesso". Ma l'elenco analitico di quelle telefonate fa parte di un dossier che ha costituito la base di avvio dell'attività ispettiva iniziata nell'autunno del 1994 a carico del dottor Di Pietro e chiusa il 7 dicembre, nel giorno successivo alle sue dimissioni. L'originale di quel dossier, mai protocollato, fu fatto distruggere dal Capo dell'ispettorato del Ministero di grazia e giustizia verso la fine di dicembre del 1994. Fotocopie dei documenti in esso inclusi sono state poi trasmesse alla Procura della Repubblica di Brescia da uno degli ispettori. Durante l'autunno del 1994 - occorre ricordarlo - numerose copie del dossier risultano essere state in circolazione. Si è tra l'altro accertato che una di esse era allora nella disponibilità di Paolo Berlusconi. In relazione alla formazione e all'uso del dossier come illecito strumento di pressione, per indurre Di Pietro a dimettersi, la Procura di Brescia ha chiesto il rinvio a giudizio di Paolo Berlusconi e dell'ex ministro Cesare Previti, per il reato di concussione in concorso con gli ispettori ministeriali Dinacci e De Biase. Il Giudice delle indagini preliminari non ha ancora deciso in merito a tale richiesta.
Il 22 giugno 1995, Craxi ha reso noto pubblicamente l'elenco delle telefonate già compreso nel dossier ed ha affermato che i tabulati gli erano stati forniti dal capo della polizia Vincenzo Parisi in un incontro risalente ai primi di settembre del 1992. Craxi ricorda che Parisi gli aveva parlato dei contatti da lui tenuti con il dottor Di Pietro tramite il funzionario Achille Serra, prima direttore dello SCO, poi questore di Milano. Anzi - egli afferma - lo stesso prefetto Parisi e l'on. Giuliano Amato avrebbero promosso in quel periodo una sorta di intesa sotterranea ed illecita con il dottor Di Pietro, perché adottasse provvedimenti di favore nei confronti di alcuni indagati, vicini al segretario del PSI. In cambio, quest'ultimo si sarebbe impegnato a non dare corso ad ulteriori polemiche nei confronti del sostituto procuratore.
Non risulta che questo preteso accordo abbia dato frutti, se si considerano le vicende giudiziarie nelle quali di lì a poco fu coinvolto lo stesso Craxi e le accuse mosse dal pool nei suoi confronti. Sembra inoltre contraddittorio che Parisi consegnasse a Craxi i tabulati, cioè un'arma che poteva servire a rendere più duro l'attacco contro Di Pietro, proprio nel momento in cui stabiliva un contatto con l'ex Presidente del Consiglio, per sollecitare da parte sua un'attenuazione delle polemiche avviate contro il magistrato con alcuni corsivi e con un'apposita riunione della Segreteria socialista.
E' poco verosimile, del resto, che Craxi, in possesso dei tabulati, non li abbia affatto usati per un'anno e mezzo, pur di fronte alle inchieste che procedevano e all'aggravarsi della propria posizione giudiziaria. E' invece possibile che li abbia acquisiti non nel settembre 1992, ma più tardi. Una operazione di questo genere, comunque, deve aver richiesto il verificarsi di due condizioni:
a) la illegale e incontrollata circolazione di tabulati circa il traffico telefonico e le singole comunicazioni;
b) la perfetta conoscenza sia delle indagini condotte da Di Pietro e delle vicende processuali relative a soggetti come Mario Chiesa, Maurizio Prada e Sergio Radaelli, sia soprattutto dei suoi rapporti di amicizia con gli avvocati Lucibello e D'Adamo: questa conoscenza ha reso possibile una estrazione "mirata" di tabulati relativi a comunicazioni in partenza dalle utenze di Di Pietro, di Lucibello, di D'Adamo e dello stesso Radaelli, tali da attestare, in giorni ed in orari determinati, una serie di reciproci contatti.
Siamo di fronte a procedure del tutto illegali e può essere avvenuto - come ritiene lo stesso Di Pietro - che le telefonate siano state in qualche modo intercettate.

5. Dalle carte sequestrate nell'ufficio romano dell'on. Craxi emergono elementi informativi somiglianti o coincidenti con quelli che si ritrovano nel dossier anonimo contro Di Pietro. Secondo la ricostruzione che questi ha fornito al Comitato, gran parte della strategia di delegittimazione contro di lui e contro il pool sarebbe stata promossa dal gruppo craxiano, con il sostegno di vari e potenti alleati.
Durante l'audizione, il dottor Di Pietro ha segnalato alcune gravi circostanze che sono emblematiche di questa strategia.
a) La vicenda del passaporto. Nell'estate del 1992, mentre procedono le inchieste e dopo che sono emersi indizi circa il rischio di un attentato contro Di Pietro, egli parte per una vacanza in Costarica. Ragioni di sicurezza inducono il Vicequestore vicario di Bergamo a procurargli per il viaggio un passaporto di copertura, intestato ad altro nome. L'operazione riservatissima è a conoscenza del prefetto Parisi, capo della polizia. un appunto anonimo, ritrovato tra le carte di Craxi, ma compreso anche nel dossier posto a base dell'ispezione del 1994, riferisce dettagliatamente il fatto, aggiungendo che in Costarica il magistrato sarebbe stato ospite della consorte del dottor Lamberto Dini. Questo particolare, per sé insignificante e smentito dal dottor Di Pietro, serve evidentemente ad insinuare l'esistenza di suoi collegamenti con ambienti finanziari. Del resto, notizie su viaggi o rapporti con ambienti non italiani del magistrato ricorrono spesso nei dossiers: dai viaggi negli Stati Uniti, di cui Craxi conserva memoria, all'informazione raccolta dal SISDe (compresa tra quelle che saranno citate più avanti, della cosiddetta fonte "Achille"), su presunti contatti con ambienti internazionali, in grado di determinare manovre contro la lira.
E' fuor di dubbio che l'episodio del passaporto, su cui viene costruito l'appunto, è stato comunicato all'esterno da un'autorità ufficiale. Secondo Di Pietro si è trattato dello stesso prefetto Parisi. Non è possibile su ciò un giudizio sicuro. Quel che conta è l'uso distorto e ricattatorio di notizie di interesse istituzionale, delle quali soltanto organi di polizia potevano essere a conoscenza.
b) Il mancato arresto di Gianfranco Troielli. Il dottor Di Pietro ricorda di aver promosso una operazione per la cattura di Gianfranco Troielli, appartenente al più ristretto gruppo di potere craxiano e uomo-chiave nella gestione dei conti all'estero, su cui transitava il denaro accumulato con le tangenti. Troielli era stato individuato a Malindi e l'operazione fu concertata con le varie forze di polizia. Ma prima che si attuasse, qualcuno (dall'interno) avvertì il ricercato che poté rendersi così irreperibile.
c) I controlli da parte di Ferdinando Mach di Palmstein. Il 21-22 novembre del 1994, dopo l'arresto del finanziere Mach di Palmstein, potente amico dell'on. Craxi, la polizia francese trova fra le sue carte documenti che attestano una complessa ed articolata attività di controllo su Di Pietro. "Venni a conoscenza - ha dichiarato quest'ultimo davanti al Comitato - del fatto che contro di me erano state fatte perquisizioni, intercettazioni, pedinamenti con telecamere". Nello stesso periodo è in circolazione il dossier anonimo che verrà inviato al Ministero di grazia e giustizia.
d) La svolta dell'autunno 1994. I passi avanti decisivi compiuti dal pool di Milano riguardano soprattutto i conti all'estero su cui transita il denaro delle tangenti. Grazie a quanto ha rivelato ai magistrati Silvano Larini, si sono individuate le responsabilità relative al cosiddetto conto "Protezione". Questo legava assieme personaggi come Licio Gelli, Bettino Craxi, Claudio Martelli, rappresentando un elemento di giuntura e di continuità tra il sistema di affari che faceva capo alla P2 e quello della corruzione politica sviluppatasi durante gli anni ottanta. Inoltre, tra il settembre e l'ottobre del 1994, messo a fuoco il ruolo di Mauro Gianlombardo, ed utilizzando una diretta collaborazione con le Autorità giudiziarie del Lussemburgo e della Svizzera, si scoprono le attività finanziarie condotte su scala internazionale da Giorgio Tradati e si avvia la ricerca su altri conti che sono dietro alle attività dello stesso Tradati (tra i quali quello denominato All Iberian, scoperto un anno dopo, al quale risulterà interessato Giorgio Vanoni, alto esponente Fininvest). Quando l'indagine si sposta sui conti all'estero, l'attacco e l'uso di informazioni riservate contro Di Pietro si fanno molto più intensi, fino alle sue dimissioni.

6. Un capitolo a sé nelle complesse vicende relative alla illegittima raccolta di notizie riservate sulle indagini concernenti Tangentopoli e sui magistrati della Procura di Milano è rappresentato dalle attività riconducibili al SISDe e più precisamente dal cosiddetto dossier "Achille".
Nella Relazione presentata il 26 ottobre 1995, il comitato riferiva di aver chiesto ai Direttori del SISMi e del SISDe se risultassero attività informative di qualsiasi genere sul conto del dottor Di Pietro o di altri magistrati, così come sulle indagini del pool di Milano in materia di reati contro la pubblica amministrazione. Altre domande simili, anche in termini assai generali, furono rivolte, sul punto, al direttore del SISDe prefetto Gaetano Marino, per iscritto (il 26 aprile 1995) e nel corso delle audizioni del 3 agosto e del 13 ottobre 1995. Egli rispose che a proposito di Di Pietro, di Tangentopoli, dei magistrati, non vi era alcuna traccia di interessamento del SISDe.
Più tardi, il 12 dicembre 1995, il Comitato parlamentare chiese alla Procura della Repubblica di Brescia se risultasse dalle indagini in corso un'attività di raccolta di informazioni posta in essere dal SISDe proprio sui magistrati di Milano e sul dottor Di Pietro. La Procura di Brescia rispose comunicando che una simile raccolta di informazioni vi era stata. Il Direttore del SISDe aveva trasmesso, il 9 novembre 1995, documenti riguardanti tra l'altro Di Pietro ed altri magistrati, rinvenuti nei fascicoli di una fonte informativa denominata "Achille" (operante tra il 1991 ed il 1993, in un periodo durante il quale sono stati ministri dell'interno Vincenzo Scotti e Nicola Mancino che hanno dichiarato di non aver avuto notizia della sua attività). L'esistenza della fonte è stata recentemente segnalata dall'ex agente del SISDe Roberto Napoli.
Il 6 gennaio 1996, la Procura di Brescia inviava ulteriori informazioni ed alcuni atti dell' inchiesta, instaurando così un positivo, proficuo rapporto istituzionale con il Comitato e consentendo un controllo su documenti della cui esistenza l'organo parlamentare - nonostante le reiterate richieste - era stato tenuto all'oscuro.
Quei documenti ottenuti dal Comitato e che rappresentano una piccola parte del dossier "Achille" dimostrano - qualunque sia il giudizio sulla loro rilevanza - che le risposte formulate dal Direttore del SISDe non corrispondevano al vero. Soprattutto, deve considerarsi grave che, dopo aver inviato all'Autorità giudiziaria di Brescia copia delle informative concernenti Di Pietro e le indagini del pool milanese, il Direttore del SISDe non abbia comunicato nulla, come se la questione, che pure era stata più volte sollevata, non riguardasse il Comitato. L'assenza di qualsiasi rettifica manifesta una deplorevole noncuranza nei confronti del controllo parlamentare.
Il Comitato non ha potuto disporre l'audizione del prefetto Marino, essendosi fermate le attività istruttorie, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Sarebbe stato invece necessario ascoltarlo, per un giudizio definitivo sulla vicenda, per verificare chi realmente fosse a conoscenza di quelle carte, se e quando ne fosse stata data notizia al Direttore e chi fosse direttamente responsabile delle fallaci risposte fornite al Comitato.
Il ministro dell'interno Coronas, da parte sua, con un comunicato stampa del 3 gennaio 1996, ha fornito una versione riduttiva del contenuto di quelle carte conservate dal SISDe, di cui l'organo parlamentare non era stato informato, negando che vi fosse stata un'attività comunque rilevante sul conto del dottor Di Pietro. Ma ciò non sembra rispondere al vero. Il 10 gennaio, davanti al Comitato, il Ministro ha ammesso che, trovandosi di fronte ad informazioni di quel genere, la soluzione più giusta sarebbe stata distruggerle. Proprio questo, a giudizio del Comitato, avrebbero dovuto fare i Direttori del Servizio (cioè Voci e Finocchiaro) quando la fonte "Achille" inviava le sue note. E la fonte avrebbe dovuto essere orientata in altra direzione o disattivata. Il Ministro inoltre ha convenuto sul fatto che sarebbe stato necessario da parte del Direttore del SISDe comunicare all'organo parlamentare di controllo l'invio degli atti all'Autorità giudiziaria. Infine egli ha dichiarato che il Presidente del Consiglio avrebbe convocato il Comitato interministeriale per l'informazione e la sicurezza, allo scopo di affrontare l'argomento.

7. Tra le carte del dossier "Achille" trasmesse alla Procura della Repubblica di Brescia, cinque documenti non sono stati inviati al Comitato, poiché su di essi erano in corso indagini. Essi riguardavano, tra l'altro, le inchieste sulle tangenti, alcune iniziative del giudice Gherardo Colombo, i contatti di Di Pietro con ambienti internazionali, vicende relative alla Lega ed al cardinale Martini, altre notizie di indagini ed indiscrezioni politiche.
Il Comitato non è in grado di formulare una compiuta valutazione sulle carte della fonte "Achille", che non conosce nel loro insieme. In data 26 gennaio 1996, esso ha deciso, con voto unanime, di chiedere l'acquisizione dell'intero dossier. A più di un mese di distanza non è venuta alcuna risposta da parte del SISDe né del CESIS né della Presidenza del Consiglio. Ma una risposta comunque dovrà esserci. Il contenuto di quei fogli ha a che fare con la sicurezza dello Stato? Non vi è traccia di notizie che abbiano simili implicazioni, nei documenti della stessa fonte, già in possesso del Comitato. Vi sono invece notizie private che riguardano persone e che devono rimanere riservate? Lo si dica: ciò potrebbe giustificare un diniego di trasmetterle al Comitato; ma allora si indichi chiaramente la natura delle informazioni e si ammetta che esse non corrispondono ai fini istituzionali del Servizio.
La conoscenza di quei documenti, la verifica della loro legittimità o illegittimità rientrano pienamente nell'ambito dei poteri di controllo spettanti al Comitato. Né si può sostenere che il discrimine tra attività legittime e illegittime non attenga alle linee essenziali dell'attività dei Servizi, sulle quali il Comitato è abilitato a chiedere informazioni, in base all'articolo 11 della legge n. 801 del 1977.
Va ricordato che il Presidente del Consiglio dottor Lamberto Dini, nell'audizione del 12 dicembre 1995, aveva riconosciuto la particolare gravità dei fatti assumendo l'impegno a far luce su di essi. "Visionerò personalmente il dossier fonte "Achille" - aveva detto - per poi riferire al Comitato". Tutto ciò induce a ribadire l'urgenza di un definitivo chiarimento.

8. Le informazioni inviate al Servizio dalla fonte "Achille", di cui il Comitato ha potuto prendere visione, riguardano l'andamento delle indagini in corso a Milano, fin dalla primavera del 1992. Una di esse riporta colloqui privati fra magistrati. E' del 10 giugno; risulta consegnata a mano al Vicedirettore del SISDe (che era allora il prefetto Fausto Gianni). Il tema dell'appunto è politico: esso riferisce l'intenzione di Di Pietro di non fermarsi nelle indagini, pur in presenza di preoccupazioni, che gli sono state espresse anche da alcuni colleghi ed amici, circa i rischi di destabilizzazione derivanti dai procedimenti penali in corso. Le altre informazioni riguardano il merito dell'attività giudiziaria.
Il dottor Di Pietro ha riconosciuto che queste notizie sono sempre rilevanti, fornite in tempo reale, anzi in anticipo rispetto all'esecuzione dei provvedimenti. Non solo esse consentono di prevedere lo sviluppo delle inchieste, ma anche di predisporre una situazione probatoria favorevole.
In un caso, a proposito di una informazione del 6 maggio 1992, che risulta consegnata a mano presso la Direzione del SISDe, il dottor Di Pietro ha sottolineato il particolare rilievo delle notizie che riguardavano una pista di indagine appena aperta e concernente soggetti vicini all'on. Forlani. Egli inoltre si è dichiarato convinto che l'informazione sia giunta allora ad uno di quegli esponenti politici, il quale infatti poté muoversi tempestivamente per prevenire i provvedimenti dei magistrati e conquistare una posizione di vantaggio.
Dunque le note inviate al Servizio potevano essere utili ed è verosimile che siano state usate. E' emblematica la notizia, comunicata fin dal 29 aprile 1992 (il foglio risulta consegnato a mano al dottor Contrada, coordinatore dei Centri SISDe del Lazio), secondo la quale Di Pietro sarebbe stato sul punto di prendere provvedimenti nei confronti del figlio dell'on. Craxi. Il 29 aprile si parla di avviso di garanzia; il 4 maggio (nota consegnata a mano alla Direzione), di un'ordine di cattura. Poi si menzionano altri familiari.
Il dottor Di Pietro ha ricordato di essere stato interpellato sulla vicenda dal questore Serra e di avergli detto che non erano previsti provvedimenti contro i familiari di Craxi. Contemporaneamente, il magistrato rilasciò una dichiarazione in questo senso alle agenzie di stampa. Quando avevano cominciato a girare notizie di un coinvolgimento, sia pure indiretto, di Craxi, attraverso suoi congiunti, egli era ancora il più forte candidato alla Presidenza del Consiglio. Per evitare che si moltiplicassero le voci allarmanti, Di Pietro smentì (egli ha ribadito davanti al Comitato: "...effettivamente è un fatto istituzionale sapere che una persona che potrebbe essere incaricata di fare il Presidente del Consiglio sta per essere coinvolta").
Il questore Serra teneva contatti periodici con Di Pietro per disposizione di Parisi, allo scopo di informare il Capo della polizia sulle implicazioni che le vicende giudiziarie milanesi potevano avere sull'ordine pubblico, sulle istituzioni, sulla stabilità delle grandi imprese coinvolte nelle inchieste. Ma la disposizione impartita a Serra dimostra che vi era preoccupazione politica circa i rischi di destabilizzazione. Questa preoccupazione politica è stata incoraggiata dall'autorità di Governo e risulta, come vedremo, fortemente avvertita dal Presidente del Consiglio Giuliano Amato. La fonte "Achille" informava che la stessa preoccupazione, con riguardo alle vicende milanesi e poi più in generale, era anche presente in ambienti ecclesiastici. Tra le autorità ufficiali dello Stato e in altri centri di potere, era diffuso il timore che l'attività giudiziaria di magistrati indipendenti costituisse un pericolo. Ciò non poteva che favorire le interferenze.
A giudizio del Comitato, in particolare, in situazioni di questo genere, va comunque ribadita la necessità che sia rigorosamente salvaguardata la piena autonomia della funzione giurisdizionale.

9. Nel caso della fonte "Achille" siamo in presenza di informazioni riservate, influenti, come ha attestato anche il dottor Di Pietro, rispetto alle sorti delle indagini. La loro acquisizione appare del tutto estranea ai compiti istituzionali del SISDe.
Le informazioni della fonte "Achille" giungevano direttamente alla Direzione del SISDe. Dalle audizioni di funzionari ed ex funzionari effettuate dal Comitato, è emerso un quadro impressionante di non conoscenza dei fatti, di reticenza, di scarsa colpevolezza dei compiti istituzionali, dei doveri e dei limiti di azione del Servizio.
Il prefetto Alessandro Voci, direttore del SISDe dal 2 settembre 1991 al 9 agosto 1992, cioè nella fase in cui fu attivata la fonte, ha dichiarato di non sapere nulla di quelle informazioni, di non conoscere a quale livello di attendibilità corrispondeva la sigla B1, assegnata alla fonte, di non avere nozioni circa l'organizzazione ed il funzionamento dell'archivio, giungendo ad avanzare l'ipotesi che i documenti trasmessi dal prefetto Marino alla Procura di Brescia possano non essere veri ed essere stati invece falsificati ed inseriti successivamente nell'archivio del Servizio. Ha dichiarato però di avere invitato il capo del I Reparto De Biasi a chiedere al Capocentro di Milano un quadro della situazione della corruzione e dell'oggetto delle indagini.
Il dottor Francesco Falchi, già capo del Centro SISDe Roma 1 (dal 16 ottobre 1991 al 5 aprile 1994), il quale teneva il collegamento con la fonte "Achille", ha affermato che un input a seguire le vicende di Tangentopoli proveniva dai vertici del SISDe: dal direttore Voci o dal vicedirettore Gianni. Quest'ultimo, sicuramente responsabile, come risulta dalle carte, dell'acquisizione di alcune delle informazioni (egli afferma persino che alcune ne avrebbe distrutte) ha ammesso qualcosa di più: un input dell'autorità politica: "C'era un interesse a sapere cosa stesse succedendo a Milano... C'era un interesse a capire cosa succedesse, a comprendere meglio la situazione. Il SISDe era il terminale - di uomini al di fuori del SISDe - e che occupavano posti più importanti di quelli ricoperti dal SISDe, che volevano sapere cosa stesse succedendo a Milano".
Il prefetto Angelo Finocchiaro, che sicuramente prendeva visione di quelle informazioni, ha riconosciuto che nessun atto della fonte era rilevante ai fini della sicurezza dello Stato. Con argomenti di scarsa consistenza ha sostenuto che il Servizio aveva il dovere di occuparsi di un fenomeno come Tangentopoli (è una tesi abbozzata anche da Voci) e che non erano illegittime le note che su questo tema giungevano al SISDe.
Il prefetto Finocchiaro era stato scelto, in sostituzione di Voci, dal ministro dell'interno Mancino sulla base del rapporto fiduciario e tenendo conto del servizio prestato.
Il prefetto Franco De Biasi, capo del I Reparto operativo del SISDe dal 1° giugno 1991 al 31 agosto 1994, ha confermato che il prefetto Voci gli aveva chiesto di sapere tutto ciò che riguardava i magistrati. Dunque, tra la direzione di Voci e quella di Finocchiaro vi è una continuità di impostazione.

10. Dai fatti sia pure parziali, che il Comitato ha potuto ricostruire, risulta una illegittimità di comportamenti. Le autorità di Governo ne avevano la percezione? Erano al corrente di quelle note riservate? Non è possibile rispondere con sicurezza. Tuttavia, quelle autorità devono considerarsi politicamente responsabili delle condizioni di illegittimità, di lottizzazione, di inefficienza in cui lavorava allora il SISDe e che le audizioni hanno confermato.
Il Comitato ha acquisito dalla Procura della Repubblica di Brescia i verbali delle deposizioni dell'on. Carlo Ripa di Meana, Ministro dell'ambiente nel Governo Amato, e dell'on. Giuliano Amato, Presidente del Consiglio dal 28 giugno 1992 al 28 aprile 1993, nonché il verbale di confronto tra i due. Questi documenti sollevano un dubbio, molto difficile da sciogliere, allo stato attuale delle conoscenze: che nei Servizi esistesse o ad essi fosse stato impartito un preciso indirizzo antimagistrati.
Dopo il primo attacco di Craxi al dottor Di Pietro (in un articolo sull'Avanti! del 23 agosto 1992), l'on. Ripa di Meana aveva preso pubblicamente le distanze dal Segretario del PSI. Oggi egli ricorda che dopo quel fatto vi fu un incontro con l'on. Amato, poco prima di una riunione del Governo. Il Presidente del Consiglio gli espresse allora la propria preoccupazione sui rischi di destabilizzazione connessi alle indagini giudiziarie in corso. Secondo Ripa di Meana, egli avrebbe inoltre dichiarato che i Servizi e la polizia consideravano l'inchiesta milanese come un pericolo per le istituzioni e ritenevano che perciò dovesse essere fermata. Il tenore della conversazione è stato in gran parte confermato dall'on. Amato, il quale nega però con decisione di aver fatto riferimento a valutazioni o intenzioni dei Servizi segreti o della polizia. Nega inoltre di avere avuto in quel periodo rapporti diretti con i Servizi, anche se è noto il suo interessamento, proprio nell'estate del 1992, perché Michele Finocchi (gradito alla Segreteria socialista) fosse nominato Direttore o Vice direttore del SISDe. (1)
D'altra parte, è di questo periodo la nomina, da parte del Presidente del Consiglio, dell'ammiraglio Fulvio Martini come suo consulente per i problemi dei Servizi di informazione e sicurezza. Contemporaneamente, il generale Luigi Ramponi, che era da un anno direttore del SISMi, fu sostituito al vertice del Servizio, con una decisione senza preavviso, le cui motivazioni non furono mai rese manifeste.
Il Comitato non è in grado di accertare la verità su questi punti, sul contenuto delle conversazioni intercorse tra i due esponenti politici e di cui si è occupata la Procura della Repubblica di Brescia, sui contatti di quei mesi tra il Capo del Governo e i Servizi, sulle sue specifiche direttive.
L'on. Amato riconosce di avere espresso al Ministro dell'ambiente le sue "preoccupazioni sulla delegittimazione che l'inchiesta in corso a Milano rischiava di provocare sui partiti di maggioranza e su quello del Presidente del Consiglio in particolare". Certo, queste preoccupazioni, come la segnalazione di episodi negativi della vita di Di Pietro (episodi che Amato dice di avere riferito allora, dopo aver ascoltato Craxi, e sono i medesimi che torneranno nei dossiers degli anni successivi), indicano un preciso orientamento politico: un rigetto ed un'avversione per il lavoro dei magistrati che stavano scoprendo i responsabili della corruzione italiana.
Quella espressa dall'on. Amato è stata ed è una posizione diffusa in settori significativi delle classi dirigenti, anche non toccati direttamente dalla corruzione, che consideravano e considerano come un danno il fatto che il controllo di legalità vada avanti, in tutte le direzioni, con rigore e decisione; e perciò hanno di fatto incoraggiato gli attacchi al lavoro dei giudici.


Il Comitato ha svolto un'ampia attività conoscitiva, con specifico riguardo alle situazione interna all'apparato del SISDe, prendendo in esame criteri e caratteri della operazione di sfoltimento degli organici condotta a partire dalla seconda metà del 1993.
Tra l'agosto del 1993 e l'agosto del 1994, ottantuno persone sono state allontanante con un provvedimento d'ufficio, motivato da esigenze di servizio, nel quadro della riduzione del numero di dipendenti. Questa era stata avviata sotto la direzione del prefetto Finocchiaro e portata a termine dal prefetto Salazar.
Il Comitato ha svolto su ciò alcune audizioni e l'Ufficio di Presidenza alcuni incontri. Sono stati ascoltati Carlo Di Folco, Giulio Gangi, Domenico Magrì, Rosario Migliore, Roberto Napoli e Vito Petruzzellis. Per valutare questa operazione, il Comitato ha preso in esame vari aspetti della condizione in cui si trova il SISDe, del suo personale, delle ragioni di inefficienza che provengono da vicende passate e che non sono state rimosse.
Il Comitato ha già comunicato al Governo alcuni dei risultati emersi dalla propria attività conoscitiva. Esso ha indirizzato al Presidente del Consiglio una nota riservata perché egli disponesse un approfondito accertamento su una serie di prassi discutibili e di circostanze che, se confermate dimostrerebbero gravi carenze e motivi di inaffidabilità di questo importante apparato.
Si è chiesto comunque al Presidente del Consiglio di verificare con scrupolo le linee di intervento seguite nella epurazione e negli indirizzi di gestione del SISDe durante gli ultimi anni. Nella Relazione, presentata al Parlamento il 27 luglio 1995, il Comitato aveva scritto: "Occorre d'altra parte osservare che l'allontanamento di un certo numero di appartenenti al Servizio, nel biennio 1993-1994, è avvenuto sulla base di criteri incerti, mentre rimanevano al loro posto funzionari che hanno svolto compiti rilevanti durante gli anni più oscuri, collaborando con i dirigenti coinvolti nella spartizione illecita dei fondi riservati e senza accorgersi dei gravi abusi commessi". Le posizioni vanno riesaminate e, se vi sono state ingiustizie, devono essere rimosse.
Raccogliendo le sollecitazioni del Comitato parlamentare, il Governo, con decreto del Ministro dell'interno, ha proceduto alla costituzione di una commissione di inchiesta amministrativa per l'accertamento della regolarità della gestione del SISDe.
Alla commissione sono stati attribuiti vari compiti:
- verificare i criteri adottati per l'allontanamento dal SISDe di un consistente numero di dipendenti, dopo la nota vicenda dei fondi neri;
- accertare le modalità di impiego di alcuni elementi nell'acquisizione di documentazione per fini non istituzionali;
- verificare se vi sono ancora casi di utilizzazione di dipendenti del SISDe per l'assolvimento di compiti estranei alle finalità del Servizio;
- decidere su addebiti specifici mossi a taluni funzionari;
- stabilire l'applicazione di criteri univoci in materia di reclutamento;
- riesaminare lo stato dell'organizzazione;
- garantire l'efficacia dei controlli.
Alla commissione, istituita il 14 novembre 1995, è stato dato un termine di tre mesi per ultimare i lavori e per riferire al Ministro dell'interno.
Lo scioglimento anticipato delle Camere non ha consentito al Comitato di compiere ulteriori approfondimenti, alla luce del lavoro condotto dalla commissione d'inchiesta.
Sulla gestione del SISDe, sulla organizzazione, sugli archivi deve svolgersi un accurato controllo. Il Comitato ribadisce la necessità di radicali misure di rinnovamento che finora non sono state adottate.


1. Il 2 novembre 1995, sulla base di un decreto di perquisizione e sequestro emesso dal dottor Rosario Priore, giudice istruttore presso il Tribunale di Roma, nei confronti del Generale Demetrio Cogliandro, ex funzionario del SISMi e capo del controspionaggio dal 1974 al 1982, veniva acquisito dall'autorità giudiziaria un plico, costituito da alcune centinaia di fogli, contenenti note informative anonime, a carattere riservato. Il 3 gennaio 1996, l'Autorità giudiziaria, con spirito di collaborazione istituzionale, ha trasmesso al Comitato queste carte, ravvisandovi elementi rilevanti per l'esercizio del controllo parlamentare sulle attività dei Servizi di informazione e sicurezza.
Da parte sua, il Comitato ha proceduto all'audizione del generale Cogliandro, dell'attuale Direttore del SISMi, nonché del generale Sergio Luccarini, ex vice direttore del SISMi, che ha retto il Servizio dal 27 febbraio 1991 al 19 agosto dello stesso anno, dopo la cessazione dell'ammiraglio Fulvio Martini dall'incarico di Direttore e prima che gli subentrasse il generale Ramponi. Inoltre, il Comitato ha acquisito, dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, il resoconto stenografico dell'audizione dell'ammiraglio Fulvio Martini, concernente la medesima vicenda.
In base agli accertamenti svolti, il Comitato è ora in grado di ricostruire quale sia stata l'attività informativa a cui quelle carte fanno riferimento. Essa è riconducibile al vertice del SISMi, nel periodo che va dal gennaio del 1989 al maggio del 1991.
Il generale Cogliandro, dopo avere diretto per otto anni il Raggruppamento Centri controspionaggio, ha lasciato il SISMi nel 1982. All'inizio del 1989, l'ammiraglio Fulvio Martini, direttore del Servizio, ha ristabilito con lui un contatto ed un rapporto di collaborazione, assumendo quindi l'ex funzionario come informatore, mensilmente retribuito. Risulta che nel periodo indicato questi si recasse periodicamente presso la sede del Servizio, una o due volte al mese; e risultano più specificamente visite costanti, con cadenza mensile, all'Ufficio amministrazione del Servizio, a partire dal momento in cui, nel 1990, questo ufficio è stato ubicato in un palazzo diverso da quello ove ha sede la Direzione. Tutto ciò è stato segnalato al Comitato dall'attuale direttore del SISMi, generale Sergio Siracusa, in base ai registri di ingresso negli uffici. Le frequentazioni di una o due volte al mese sono da ricollegare ad una collaborazione continuativa con la Direzione del SISMi, concordemente ammessa sia da Cogliandro che da Martini. Di tale collaborazione era al corrente un gruppo ristretto di ufficiali. Le visite all'Ufficio amministrazione inducono a credere che vi fosse una regolare retribuzione, ancorché sui fondi riservati, e non - come pure ha sostenuto l'ex funzionario - un pagamento brevi manu da parte del Direttore del Servizio. Del resto, che il rapporto non fosse soltanto personale con Martini è dimostrato dal fatto che per qualche mese le informazioni sono state consegnate al generale Luccarini, il quale ha dichiarato di non avervi individuato motivi di interesse. E' da ritenere che anche negli ultimi mesi la retribuzione sia stata corrisposta, in continuità con la prassi seguita durante la gestione Martini, e che il rapporto si sia definitivamente interrotto con la nomina del generale Ramponi.
Non risultano negli archivi del SISMi - a quanto ha affermato l'attuale Direttore - documenti riferibili a questa attività. Il nome dell'ex capo del controspionaggio non ricorre in alcun modo nelle carte ufficiali che si riferiscono agli anni successivi alla sua uscita dal Servizio. In particolare non si possono neanche ricercare documenti di spesa relativi al periodo 1989-1991, poiché, in base alle disposizioni vigenti prima della circolare Ciampi dell'8 novembre 1993, essi sono stati tutti distrutti.
Secondo quanto il generale Cogliandro ha riferito al Comitato parlamentare, egli aveva il mandato di fornire notizie utili, con ampia facoltà di scelta e senza un particolare obiettivo. Peraltro, si rendeva conto che le informazioni riservate da lui raccolte potevano essere usate a fini di lotta politica. Anzi, egli ha affermato che lo stesso ammiraglio Martini la definiva "spazzatura". Ma per due anni continuò a riceverle e a retribuirle.
Nella sua audizione davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, l'ammiraglio Martini ha ricostruito il proprio rapporto con il generale Cogliandro. All'ex capo del controspionaggio egli aveva chiesto di riferire voci e pettegolezzi dell'ambiente politico romano, concernenti il Servizio ed il suo Direttore. Il Comitato non ha potuto ascoltare, prima dello scioglimento delle Camere, l'ammiraglio Martini, come sarebbe stato utile. Formula perciò le proprie valutazioni allo stato degli atti.
La presenza, tra le carte sequestrate a Cogliandro, di un appunto su una questione che Martini ha menzionato specificamente nel corso dell'audizione, conferma che quelle carte contengono le informazioni a lui destinate.
In realtà, salvo qualche nota sporadica, il contenuto delle carte è del tutto estraneo alle finalità istituzionali del Servizio. Ma non si tratta di appunti presi a caso. C'è una logica: essi appaiono destinati ad offrire strumenti di pressione e di ricatto (più o meno efficaci a seconda delle situazioni e dell'attendibilità dei dossiers) contro soggetti politici ben individuati.

2. La documentazione riflette, in prevalenza, situazioni legate alla politica interna, con notizie relative a personalità che occupavano posti di primo piano nei partiti, nell'alta burocrazia statale, nei Servizi di informazione e sicurezza, negli ambienti imprenditoriali. Gli appunti sono redatti in forma anonima e privi di qualsiasi elemento idoneo all'identificazione della loro origine. Manca, nella stragrande maggioranza dei casi, qualsiasi valutazione circa l'attendibilità delle notizie.
Il generale Cogliandro ha dichiarato che in gran parte esse provenivano da un giornalista, retribuito in qualità di fonte dallo stesso Cogliandro, che gli versava una quota dei compensi percepiti dal SISMi. Egli ha parlato anche, davanti al Comitato, di sintesi manoscritte da lui redatte e consegnate (con ciò non assumendo la paternità, in più casi scomoda, degli appunti sequestrati); ma è stato smentito dal generale Luccarini che ha affermato (e non aveva motivo di dire cosa diversa dal vero) di avere sempre ricevuto testi dattiloscritti.
Va ricordato, a tale proposito, un lungo e complesso appunto in duplice stesura, del 20 maggio 1991. La seconda stesura, dattiloscritta come la prima, è diversa da tutti gli altri appunti e formalmente più corretta rispetto all'originale. E' altamente probabile che questa sia una copia del testo poi consegnato al Direttore del SISMi, mentre la stesura più imperfetta dovrebbe essere quella proveniente dalla fonte. Il che attesta una trasmissione sostanzialmente fedele degli appunti.
Il Comitato rileva che la utilizzazione di un giornalista, come produttore di materiale informativo, in un rapporto stabile, anche se mediato, con il Servizio, costituisce una patente violazione della legge (cfr. articolo 7, comma 1, legge n. 801 del 1977).
Quel che emerge dalle carte sequestrate è uno spaccato delle lotte interne al pentapartito. Sono state raccolte insinuazione di ogni genere, notizie relative agli intrighi che si sviluppavano nel sistema di governo, e a veri e propri comportamenti illeciti, alcuni dei quali più tardi verranno scoperti e daranno luogo a procedimenti penali.
Il bersaglio contro il quale si insiste maggiormente nel produrre informazioni negative è la corrente di sinistra della Democrazia cristiana e - in un primo periodo - il nome che ricorre più spesso è quello dell'on. Ciriaco De Mita. Si accumulano gli appunti riguardanti la sua vita privata, i contrasti all'interno della DC, i rapporti con la Banca Irpina e con le vicende della ricostruzione in Campania dopo il terremoto del 1980. Sono anticipate notizie riservate ed accuse che emergeranno qualche mese o qualche anno dopo.
L'attività di "dossieraggio" sull'uomo politico democristiano si dirada fortemente a partire dalla seconda metà del 1989: in sostanza dopo che egli ha lasciato la carica di Presidente del Consiglio.
Successivamente, viene in primo piano l'attenzione per l'on. Giulio Andreotti. Si riferiscono più spesso notizie su operazioni politiche e finanziarie facenti capo al nuovo Presidente del Consiglio, su scandali che coinvolgono la sua corrente e che potrebbero emergere, sui suoi rapporti con l'on. Vittorio Sbardella, ma soprattutto, nel 1990, sulla scelta di svelare l'esistenza della struttura Gladio all'interno del SISMi, rendendo noti i nomi di 622 appartenenti ad essa. Questa scelta viene considerata un grave tradimento e perfino una fonte di rischi per l'ordine pubblico.
Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica Cossiga, in una prima fase risultano segnalate tutte le informazioni e le voci che potevano essere usate contro di lui (per esempio, la conoscenza di fatti relativi alla strage di Ustica, che egli avrebbe tenuto nascosti; o, sul terreno politico, la tendenza al cedimento di fronte alla sinistra democristiana ed in qualche occasione anche di fronte al PCI). Più avanti nel tempo, le note riferiscono di un preteso tentativo da parte del Presidente di controllare i Servizi e manifestano diffidenza e preoccupazione dopo la nomina dell'ambasciatore Francesco Paolo Fulci alla segreteria generale del CESIS, proprio per il collegamento che - si afferma - vi sarebbe stato tra questo funzionario e il Capo dello Stato. Si insiste più volte sulle possibili divergenze fra Andreotti e Cossiga e sulle relative, contrapposte manovre. In un caso, si avanza il timore che possa esservi un accordo tra i due per la sostituzione dell'ammiraglio Martini alla direzione del SISMi e per la nomina del generale D'Ambrosio. Infine, con una sollecitudine nuova nei confronti del Presidente della Repubblica, si segnalano manovre comuniste contro di lui, legate alla vicenda Gladio, a partire dal momento in cui egli si schiera recisamente a favore della legittimità di questa struttura, di fatto rafforzando la posizione dell'ammiraglio Martini.
Si è già detto che l'interlocutore immediato di Cogliandro era il Direttore del Servizio; e ciò risulta dalle carte. Spesso infatti le note contengono consigli sulle iniziative che egli avrebbe potuto prendere: tra l'altro, l'esortazione ad evitare le divergenze e la rottura con il Capo del Governo. Com'è noto, nel gennaio 1991, Martini verrà pubblicamente censurato da Andreotti, proprio in relazione alle direttive impartite per l'attività della struttura Gladio, e lascerà subito dopo la Direzione del Servizio.
Non c'è una identica attenzione per altri raggruppamenti politici. Qualche marginale notazione negativa riguarda prima il PCI e poi il PDS: in genere se ne sottolineano la doppiezza e la pericolosità; vi è un accenno a comportamenti stravaganti dell'on. Gianni De Michelis, alcune note sul presidente della RAI Enrico Manca e sull'on. Claudio Martelli; sommari riferimenti a tangenti che avrebbero coinvolto settori del PSI e del PRI.
Riguardo agli ambienti imprenditoriali, spiccano per la precisione e per le connotazioni negative alcuni appunti su Carlo De Benedetti. Egli è considerato come elemento integrante e primario di un "partito trasversale" (l'espressione diventerà più tardi di uso comune nella pubblicistica), che appare contrapposto a Craxi, ad Andreotti e - in campo economico - al gruppo finanziario che fa capo a Silvio Berlusconi. L'attacco a Berlusconi viene considerato un pericolo per il Governo Andreotti (appunto del 4 settembre 1989).
Il fatto che gli obiettivi della raccolta di informazioni siano tutt'altro che indifferenziati, che siano chiari gli avversari principali contro i quali le note sono destinate e siano facilmente decifrabili le ragioni per le quali cambia l'atteggiamento verso l'uno o l'altro protagonista, induce a credere che l'informatore sia stato espressamente indirizzato a cercare elementi, a mettere insieme pettegolezzi e accuse infamanti solo in determinate direzioni.
Se l'attenzione verso De Mita si è spenta, dopo che egli ha lasciato la Presidenza del Consiglio, non dev'essere stato per carenza di fonti o di notizie. E' più verosimile che sia venuto meno l'interesse a raccoglierle. Ciò significa che l'attività informativa non si è sviluppata casualmente, ma che corrispondeva ad una direttiva e si orientava in base a precise esigenze, momento per momento. Esigenze legate alle manovre di vertice nel sistema politico ed ai relativi conflitti, in gran parte non visibili. La Direzione del Servizio segreto militare si interessava a quei conflitti, mettendosi evidentemente nelle condizioni di intervenire in essi ed acquisendo, al riguardo, un patrimonio di note riservate, anche se di basso livello.
Particolarmente inquietante, in questa prospettiva, appare il consiglio contenuto in un appunto del 30 agosto 1990, che riguarda i rapporti del Direttore del SISMi con Andreotti e con Craxi: «Martini dovrebbe "parare" gli attacchi preparati contro Craxi e il PSI tendenti a dimostrare irregolarità su lavori presi in esclusiva in Somalia ed in Etiopia con tangenti da capogiro. I demitiani minacciano di rivelare tutto. Bisogna cercare una contromossa o se più vi piace un "contro-ricatto" per essere chiari».
Il riferimento alle vicende della cooperazione internazionale, che più tardi avrebbero formato oggetto di procedimenti penali contro uomini legati all'on. Craxi, rende seria e rilevante la nota. E' assai verosimile che essa sia giunta, in questa forma, nelle mani dell'ammiraglio Martini. Era lui il committente ed è molto difficile pensare che proprio un appunto inequivocabilmente a lui diretto non gli sia poi pervenuto. Esso d'altra parte rientrava tra le voci e i pettegolezzi riguardanti non solo il Servizio, ma personalmente lo stesso ammiraglio e per i quali egli oggi dichiara di avere attivato nel 1989 il generale Cogliandro quale informatore.
Non sappiamo come appunti di questo tipo siano stati valutati da chi li riceveva. E' del tutto evidente però che il Direttore del SISMi, tenuto, per la delicatezza dei suoi compiti, ad osservare rigorosamente il dovere di imparzialità e quello di fedeltà alla Costituzione, avrebbe dovuto mettere alla porta un informatore che gli dava simili consigli o che rovesciava "spazzatura" sul suo tavolo, troncando subito ogni collaborazione con lui. Ciò non è avvenuto. Anzi, stando alle carte sequestrate, vi è da credere che le informazioni fossero quasi tutte dello stesso genere e tuttavia la Direzione del SISMi ha continuato ad acquisirle e a pagare per esse.
Non è stato possibile accertare se ed a quale fine esse siano state usate dopo la consegna né se vi fossero altri destinatari. A giudizio del Comitato, comunque, questa acquisizione, con le modalità che si sono individuate, è da ritenere in se stessa illegittima.
Per evitare che situazioni del genere si riproducano, sono necessarie alcune regole, che in parte sono espressione di una corretta amministrazione, in parte richiedono innovazioni legislative:
a) gli ex funzionari in pensione non possono essere assunti come informatori del Servizio;
b) l'attività informativa non può essere data in appalto a soggetti esterni; i competenti uffici del Servizio devono conoscere l'identità delle fonti, per valutare la legittimità della loro assunzione ed il loro grado di attendibilità;
c) negli archivi del Servizio deve restare traccia documentale di ogni legittima attività informativa e delle spese in rapporto a ciascuna attività ed operazione;
d) deve esservi sempre un responsabile per ogni operazione e per l'acquisizione di informazioni;
e) la segretezza dei documenti deve essere temporanea;
f) al Comitato parlamentare - con maggiori garanzie di segretezza rispetto alle norme attuali e con la previsione di sanzioni per chi viola il segreto - va riconosciuto il potere di acquisire direttamente atti e documenti dei Servizi, relativi ad operazioni già compiute o ad attività esaurite, ferma restando la salvaguardia delle fonti informative.


1. Nel primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza, presentato al Parlamento il 6 aprile 1995, il Comitato aveva affrontato la questione del controllo previsto e mai realizzato sul Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno.
"La legge n. 121 del 1° aprile 1981 sulla riforma della polizia - ricordava in quel documento il Comitato - ha istituito presso il Ministero dell'interno un archivio magnetico centrale per le informazioni concernenti la prevenzione e la repressione della criminalità. La legge ha affrontato il problema cruciale delle garanzie volte a prevenire i pericoli connessi alla installazione di grandi elaboratori elettronici (con il potere di disporre di una mole enorme di informazioni sui cittadini).
Tra le garanzie assume un particolare risalto la funzione di controllo che deve essere esercitata (articolo 10) dal Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza sul Centro elaborazione dati (CED). Il controllo dovrebbe avvenire "attraverso periodiche verifiche dei programmi nonché di dati e di informazioni casualmente estratti e forniti senza riferimenti nominativi" (articolo 10 comma 1). Conseguenza del controllo può essere la cancellazione dei dati, ma anche la loro integrazione, quando risultino parzialmente inesatti o equivoci. La cancellazione dev'essere ordinata dal Comitato, quando i dati siano stati acquisiti in violazione dell'articolo 7 della legge, che fissa limiti alla raccolta delle informazioni, indicando tassativamente i documenti dai quali possono essere tratte, vietando l'assunzione di informazioni relative all'esercizio dei diritti di libertà politica, religiosa, sindacale, fissando l'ambito in cui è possibile acquisire notizie su operazioni o posizioni bancarie.
Un regolamento da emanare con decreto del Presidente della Repubblica - stabilisce l'articolo 11 - disciplina le procedure per la raccolta dei dati e delle informazioni, per l'accesso nonché per la correzione e cancellazione dei dati erronei e per la integrazione di quelli incompleti.
Il decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, n. 378, in attuazione della norma di legge ora richiamata, dispone all'articolo 18: "le modalità tecniche relative alla estrazione casuale dei dati e informazioni da fornire senza riferimenti nominativi al Comitato parlamentare, nel corso delle verifiche, sono stabilite dalla Commissione tecnica di cui all'articolo 8 terzo comma della legge 1° aprile 1981, n. 121, ed approvate dal Comitato parlamentare stesso".
Dunque, una commissione tecnica, costituita con decreto del Ministro dell'interno e che si colloca nell'ambito della stessa amministrazione sottoposta al controllo parlamentare, avrebbe dovuto predisporre le condizioni operative necessarie all'esercizio effettivo del controllo. Ciò non è avvenuto.
Le norme che consentirebbero l'accesso dell'organo parlamentare ai dati ed alle informazioni non sono mai state adottate. Si è impedito così finora al Comitato di adempiere ad un suo dovere istituzionale. E' venuta meno una essenziale funzione di verifica (e di garanzia) circa la rispondenza complessiva del funzionamento del CED ai principi costituzionali in materia di diritti dei cittadini.
Il Comitato denuncia al Parlamento questa prolungata inadempienza, che non è ulteriormente tollerabile.
La normativa prevista dev'essere adottata. Il Comitato ritiene che per un puntuale controllo debbano essere rimossi due ostacoli. In primo luogo, oggi esso non può assumere direttamente dati dall'archivio elettronico, perché le modalità di memorizzazione non consentono di estrarre informazioni senza riferimenti nominativi. In secondo luogo, manca presso il Comitato un terminale.
Il sistema informativo del CED deve essere riorganizzato, essendo oggi impostato per soddisfare le esigenze dei diversi utenti ma non quelle del controllo parlamentare".
Per contribuire, nell'ambito delle proprie competenze, a rimuovere le difficoltà e gli ostacoli, il Comitato, nella seduta del 30 maggio 1995, incaricò il Presidente di stabilire una intesa con i responsabili del Centro elaborazione dati del Ministero dell'interno, volta a definire le modalità di accesso dell'organismo parlamentare di controllo ai dati memorizzati dal CED.
Il Comitato concordava sulla necessità di rendere operativo, sistematico ed efficace, il controllo previsto dalla legge n. 121 del 1981, realizzando, in primo luogo, un accesso diretto agli archivi tramite un terminale, da installare nella sede parlamentare.
Nei successivi incontri a livello tecnico si verificò la possibilità di realizzare l'accesso diretto del Comitato, con l'elaborazione di un appposito software, alla parte della memoria definita "schedari" (intestati a persone), automaticamente depurata del riferimento nominativo (rispettando così il vincolo, posto dalla legge, all'esercizio del controllo parlamentare).
Non è risultato invece possibile lo stesso tipo di accesso diretto alla informazione nella parte definita "archivi" (vale a dire le memorie non organizzate sulla base dei riferimenti nominativi). Si tratta infatti di testi che non consentono di eliminare automaticamente il riferimento nominativo. Questo secondo tipo di patrimonio informativo è acquisito alla memoria del CED senza quell'accorgimento, a mezzo di un qualsiasi segno identificativo, che avrebbe potuto prima individuare e conseguentemente escludere dalla lettura tutti i nomi propri.
La consultazione degli "archivi" del CED deve dunque avvenire a seguito di una interrogazione effettuata attraverso il terminale, collocato nella sede del Comitato, ed eliminando poi materialmente, dallo stampato di risposta, tutti i riferimenti nominativi.
Su sollecitazione del Presidente del Comitato si è quindi riunita la commissione tecnica che, nella seduta del 27 giugno 1995, ha predisposto un secondo testo del Regolamento di accesso del Comitato alla memoria del CED, testo che prevede, oltre alla ipotesi di una verifica diretta su supporti magnetici da effettuare nella sede del CED, anche la procedura - che al Comitato interessa realizzare - definita "verifica in linea a mezzo terminale".
Le modalità di accesso previste da questa procedura permettono l'esercizio del controllo sul CED del Ministero dell'interno, mediante un terminale abilitato, dalla sede del Comitato.
Il controllo avviene, almeno finché la legge n. 121 resterà immutata, con consultazione diretta degli schedari intestati a persone, automaticamente depurati dei riferimenti nominativi, e con una consultazione "mediata" degli archivi. Lo stampato proveniente dagli "archivi" e prodotto a seguito dell'interrogazione tramite il terminale è "depurato" del riferimento nominativo, con una procedura manuale, eseguita da un funzionario del CED delegato a tali operazioni.
Il Comitato ha approvato la normativa, predisposta dalla commissione tecnica, nella seduta dell'11 luglio 1995, esprimendo l'unanime orientamento di attivare la sola procedura di verifica "in linea a mezzo terminale", ritenendo che il controllo parlamentare, ai sensi della legge n. 121, dovesse esercitarsi secondo la procedura prima ricordata e a richiesta dei componenti del Comitato.
Il Comitato ha inoltre raccomandato, in quella circostanza, che l'acquisizione di tutte le informazioni, ad opera del CED del Ministero dell'interno, avvenisse in modo tale da rendere possibile, in futuro, l'automatica soppressione dei riferimenti nominativi, con la realizzazione di un apposito programma. Le diverse sezioni nelle quali si articola la complessiva memoria del CED potranno così essere consultate dall'organismo parlamentare di controllo, senza l'intervento del funzionario delegato.
Esaurita la tecnica dell'attivazione del terminale con la relativa stampante, il Ministero dell'interno ha completato, con l'indicazione dei funzionari abilitati a coadiuvare il Comitato, la procedura preliminare all'attuazione del controllo parlamentare.
Il Comitato esprime il proprio apprezzamento per la sollecita collaborazione assicurata dal Capo della polizia, nel corso della complessa procedura di attivazione.

2. Nella ricognizione compiuta dal Presidente per incarico del Comitato, si è accertato come l'aggiornamento dei dati provenga anzitutto da due fonti primarie:
a) da un apposito ufficio esistente presso ogni Questura, alle dirette dipendenze del Capo di gabinetto del Questore, che raccoglie la documentazione proveniente dalle forze di polizia operanti sul territorio e che cura l'immissione dei relativi dati nel CED;
b) dalle Autorità giudiziarie, per quel che riguarda l'esito dei procedimenti.
In particolare, il flusso di informazioni provenienti dall'Autorità giudiziaria risulta carente, non sistematico e registra mediamente ritardi misurabili in anni. E' necessario porre rimedio a questa strutturale carenza, così grave per gli ingiustificati danni che produce nei confronti dei cittadini, che avrebbero diritto a vedere aggiornata tempestivamente la situazione delle eventuali pendenze giudiziarie a loro carico. A tale scopo era stata preparata, nell'aprile 1992, una bozza di convenzione tra il Ministero dell'interno e il Ministero di grazia e giustizia. Ma essa è stata poi accantonata.
La bozza prevedeva la realizzazione di un collegamento automatizzato, tramite i centri elettronici del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno e del casellario giudiziale del Ministero di grazia e giustizia che permetteva "la consultazione, da parte dei terminali elettronici facenti capo al CED (del Ministero dell'interno), degli archivi magnetici del casellario giudiziale per la parte delle informazioni riguardanti i precedenti e le pendenze penali a soli fini informativi" escludendosi cioè ogni finalità certificativa.
Il Comitato, al quale sono pervenute, nel tempo, istanze di cittadini intese a chiedere all'organismo parlamentare di controllo una verifica ed un'aggiornamento dei dati memorizzati dal CED, segnala, in questo quadro, l'esigenza improrogabile che il Ministero dell'interno e il Ministero di grazia e giustizia riprendano e finalmente realizzino il progetto.

3. Al CED del Ministero dell'interno pervengono dati, oltre che dalle due fonti primarie sopra indicate (apposito ufficio esistente presso ogni Questura e Autorità giudiziaria), anche dal dipartimento della pubblica sicurezza-servizio stranieri, dal dipartimento della pubblica sicurezza-divisione armi e esplosivi, dai Tribunali amministrativi regionali, dalle prefetture, dalla Polizia municipale e dalla Telecom.
Quest'ultimo canale di informazioni verso il CED determina legittime perplessità, già segnalate dal Comitato (2) .
L'articolo 7 della legge n. 121 del 1981 prevede infatti una definizione precisa della natura e dell'entità dei dati e delle informazioni raccolti dal CED. Da questa definizione sembra escluso il flusso informativo proveniente da un'azienda che non è assimilabile ad una pubblica amministrazione o ad un ente pubblico.
In realtà tale flusso, continuo e sistematicamente aggiornato, dalla Telecom al Ministero dell'interno, riguarda una imponente massa di dati. Il Centro elettrocontabile di Napoli, sulla base dell'archivio di fine fatturazione, fornisce al CED del Ministero dell'interno, ogni due mesi, sei archivi in output, contenenti, per tutte le utenze, le informazioni relative al distretto di appartenenza del numero, la data di attivazione e di prima attivazione, il numero telefonico precedente, il codice di direzione regionale, il codice di filiale, l'intestazione della fattura, l'anagrafe dell'impianto, gli scatti di bimestre con l'indicazione del volume di traffico del primo e del secondo mese, il codice fiscale. Tali sono i dati richiesti dal Ministero dell'interno che così acquisisce al CED tutti i numeri telefonici, compresi quelli riservati, nonché un quadro aggiornato del volume di traffico riferibile a ciascuna utenza. Non sembra che un così vasto apporto informativo della Telecom al CED del Ministero dell'interno possa rimanere, com'è attualmente, in una condizione di assenza di regole.
Il Comitato, che in questa legislatura ha ottenuto, dopo anni, l'attivazione della procedura di controllo prevista dal dettato legislativo, affida anche questa delicata tematica - che tocca diritti individuali di libertà - a successive verifiche e all'azione riformatrice del prossimo Parlamento.

4. Il Comitato ha effettuato un accesso diretto, attivate le procedure, allo scopo di compiere, secondo quanto dispone la citata legge n. 121, al primo comma dell'articolo 10, una verifica dei programmi nonché dei dati e delle informazioni casualmente estratti e forniti senza riferimenti nominativi.
In base ad una ricognizione dell'assetto e dei criteri di formazione degli "schedari" (patrimonio informativo intestato a persone), il Comitato ha accertato:
- che sono stati memorizzati anche i nomi di coloro che denunciano i singoli reati;
- che l'accesso agli schedari avviene in tempo reale su tutto il territorio nazionale;
- che esistono 24 milioni di records intestati a persone;
- che il numero delle persone i cui nominativi sono inseriti negli schedari ammonta a circa 19 milioni.
Sotto il profilo dei flussi di informazione verso il CED, è risultato che l'Arma dei carabinieri è in grado di aggiornare direttamente, pur se con una capacità limitata di livello di accesso, la memoria del CED, operazione che effettua, tuttavia, tramite le Questure fornendo a tali uffici i dati di competenza. L'Arma dei carabinieri possiede, a sua volta, una copia, anche se non completa, dell'intero patrimonio informativo del CED del Ministero dell'interno, i cui aggiornamenti sono copiati e versati all'Arma entro il termine temporale di sei ore. Ciò può configurare una sorta di memoria informatica parallela ed autonoma dei Carabinieri, sulla quale non è previsto e non può svolgersi alcun diretto controllo da parte del Comitato parlamentare. Occorre invece creare le condizioni perché anche su questa "copia" possa esercitarsi il controllo.
La Guardia di finanza provvede in via diretta all'immissione e all'aggiornamento dei dati del CED di sua competenza, mentre i Servizi di informazione e sicurezza possono accedere alla memoria del CED, ma non possono aggiornarne i dati, essendo, in sostanza, solo utenti della struttura.
Nel corso dell'accesso diretto, il Comitato ha verificato anche che ad ogni scheda, intestata ad una persona, corrisponde un fascicolo, conservato dall'ufficio di origine, al quale si risale partendo dal dato nominativo. Tale operazione, come si è più volte ricordato, è preclusa al Comitato in base a quanto disposto dalla legge n. 121.
Sempre nella medesima occasione gli archivi del CED sono stati interrogati a campione, verificando la consistenza e la natura dei dati registrati. Le verifiche sono state effettuate in relazione:
a) ad un fatto criminoso di particolare gravità;
b) ad un evento di criminalità eversiva;
c) alla documentazione relativa ad un individuato soggetto criminale.
Il Comitato ha richiesto al CED del Ministero dell'interno la documentazione relativa ai sequestri di persona per il periodo 1990-1996 ed ha avviato un lavoro di verifica su questo patrimonio informativo.
Ma dal tabulato contenente le informazioni tratte dall'apposito archivio dei sequestri di persona a scopo di estorsione trasmesso dal Capo della polizia, sono risultati espunti dati che, essendo pubblici, avrebbero dovuto opportunamente integrare le informazioni trasmesse al Comitato. Tra questi, il nome di un funzionario sottoposto a procedimento penale. Si tratta di una cancellatura dei riferimenti nominativi che non è giustificabile, essendo essi già noti. Proprio quella preoccupante vicenda relativa al sequestro Ghidini e su cui esistono atti giudiziari è infatti oggetto dell'attività di controllo del Comitato.
Si è confermata la circostanza che l'elenco delle utenze telefoniche, ordinarie e riservate, per le quali ultime è previsto un segno di riconoscimento, è integralmente fornito dalla Telecom (prima dalla SIP) al CED del Ministero dell'interno e che sono abilitati ad accedere a tale settore informativo circa cinquemila operatori la cui domanda resta comunque registrata.
Dalla ricognizione effettuata è infine risultato che le banche dati collegate al CED del Ministero dell'interno sono le seguenti: Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli infortuni sul Lavoro, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Società consortile di informatica delle Camere di commercio italiane, Corte Suprema di Cassazione, Istituto Poligrafico dello Stato, Telecom Italia, ENEL, Ministero delle finanze, Ministero dell'interno, Anagrafi comunali, Motorizzazione civile, Automobile Club d'Italia, Camera dei deputati e Senato della Repubblica.


La presente relazione non dà conto analiticamente di tutte le attività svolte e di tutti i documenti acquisiti negli ultimi mesi, relativi alla ordinaria attività di controllo. Sono stati trasmessi al Comitato, dall'inizio della legislatura, 669 documenti e si sono tenute 72 sedute del plenum e 10 riunioni dell'Ufficio di Presidenza. Il Comitato ha svolto 49 audizioni.
A conclusione dei propri lavori, il Comitato ha voluto affrontare soltanto alcune questioni più rilevanti, che non ha ritenuto di lasciare sospese, nel momento in cui si interrompeva la legislatura.
Per i profili più generali di analisi del sistema di informazione e sicurezza e per le proposte di riforma che si possono consegnare all'attenzione del futuro Parlamento, il Comitato rinvia alle precedenti Relazioni e soprattutto alla prima, del 6 aprile 1995.
Dall'analisi delle situazioni controverse di cui anche questa Relazione si occupa, risulta nettamente confermata l'urgenza che le linee già indicate dal Comitato siano al più presto discusse dal Parlamento e tradotte in atti legislativi conseguenti.
Per quel che riguarda il potenziamento del controllo parlamentare, oltre a tutte la proposte già avanzate, si sottolinea l'esigenza che il Comitato, almeno per alcuni specifici settori di attività (o per individuati oggetti di indagine) possa valersi dei poteri che l'articolo 82 della Costituzione riconosce alle Commissioni parlamentari d'inchiesta.


(*) Comunicata alla Presidenza il 5 marzo 1996.
(1) Ciò risulta da una deposizione resa dallo stesso Amato (Collegio per i reati ministeriali, tribunale di Roma, n. 3/94 R.G. Coll., vol. IX, pg. 57). Cfr. pg. 71 nota n. 86 della Relazione recante il primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza (Doc. XXXIV n. 1 XII Legislatura).
(2) Cfr il primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza, p.33 (Doc. XXXIV, n.1, XII legislatura).

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA